Otello - Atto I Scena III
DOGE: Parlate, Otello.
OTELLO: Suo padre mi voleva bene; spesso m'invitava,
e m'interrogava sulla mia vita, anno per anno;
le battaglie, gli assedi, le fortune che ho sostenute.
E io narravo: dai giorni lontani dell'infanzia,
a quel momento in cui egli mi chiedeva di narrare:
raccontavo le sventure e i casi emozionanti per mare e per terra;
e di quando per un capello ero scampato alla morte
nell'imminente pericolo d'una breccia;
o catturato dal nemico insolente, ero stato venduto come schiavo;
e il mio riscatto e la mia nomade storia: e così di vaste caverne
e deserti vuoti, rupi e pietraie di montagne dalle cime
che giungono al cielo mi toccava parlare - tale fu la mia esperienza -
e dei Cannibali che si mangiano tra loro, gli Antropofagi,
e gli uomini ai quali cresce la testa sotto alle spalle;
tali cose Desdemona ascoltava con profondo interesse,
e se doveva allontanarsi per faccende di casa,
le sbrigava in gran fretta, tornando con orecchio teso ai miei racconti.
Accortomi di ciò, scelsi una volta l'occasione;
ed ebbi da lei una fervente preghiera di farle per esteso
la storia delle mie avventure, di cui aveva udito soltanto una parte,
ma non agiatamente. Acconsentii, e spesso le strappavo le lacrime,
parlandole di lutti che avevano percosso la mia gioventù.
Finito il mio racconto, mi compensò con un mondo di sospiri;
giurò che, davvero, tutto questo era strano,
tanto strano, commovente, commovente in modo meraviglioso.
Avrebbe voluto non avermi ascoltato,
ma avrebbe anche voluto che un uomo simile, il cielo l'avesse creato per lei.
Mi ringraziò, e disse che se io avevo un amico che si fosse innamorato di lei,
gli insegnassi a ripeterle la mia storia,
e con ciò egli sarebbe riuscito a piacerle. A tale accenno, parlai.
Ella mi amò per i pericoli che io avevo corso,
ed io l'amai perch'ella n'ebbe pietà.
Questa è la sola magia ch'io abbia usato. Ma ecco la signora:
lasciate ch'ella stessa testimoni.
(Entrano DESDEMONA, IAGO e Ufficiali di scorta)
DOGE: Questo racconto credo avrebbe conquistato anche mia figlia.
Mio buon Brabanzio, acconciate per la meglio questa angosciosa faccenda.
E' preferibile difendersi con un'arma spezzata che non a mani vuote.
BRABANZIO: Vi prego, ascoltatela.
E ov'ella confessi che fu lei per metà corteggiatrice,
ch'io sia maledetto se il mio rancore ricade su quest'uomo!
Accostatevi, gentil signora. Sapete, in questo grave consesso,
a chi voi dovete più obbedienza?
DESDEMONA: Mio nobile padre, io qui vedo un dovere diviso.
A voi debbo la mia vita e la mia educazione,
che mi hanno egualmente insegnato a obbedirvi.
A voi il mio rispetto, in quanto vostra figliuola.
Ma qui è mio marito, e come mia madre fece di voi l'oggetto della sua devozione,
anteponendovi al padre suo,
così è certo che posso fare io legittimamente col Moro,
mio signore.